New York, le promesse di Cina e Stati Uniti: ridurre le emissioni di gas nocivi da subito, con possibili trasferimenti di nuove tecnologie ai Paesi emergenti dal nostro corrispondente
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK - Obama e Hu Jintao hanno usato per la prima volta toni identici, nel denunciare i pericoli del cambiamento climatico alla conferenza Onu sull'ambiente.
"La minaccia è urgente - ha detto il presidente americano - , il tempo stringe se non vogliamo lasciare alla generazioni future una catastrofe irreversible". Gli ha fatto eco il leader cinese: "in gioco la sopravvivenza dell'umanità, abbiamo una responsabilità comune". Il tono è cambiato, dai tempi in cui l'Amministrazione Bush negava perfino la realtà del surriscaldamento da CO2, ela Cina scaricava ogni colpa sui paesi più ricchi.
Il summit di New York ha dato la misura di un atteggiamento nuovo. Parlano un linguaggio più simile i due giganti che insieme generano il 40% di tutte le emissioni carboniche della terra.
La convergenza tra Obama e Hu sui grandi principi è un progresso importante ma non sufficiente.
Paradossalmente, malgrado la grande distanza tra i due sistemi politici americano e cinese, in questo campo ambedue i presidenti sono più avanti dei rispettivi paesi. Non fu così in passato. Ma oggi nella democrazia Usa come nel regime autoritario di Pechino, è ai vertici di governo che spesso si trovano le posizioni più avanzate. Devono affrontare resistenze tenaci nella società, in particolare nel mondo delle imprese.
A Washingtonla Camera ha approvato una legge importante sul risparmio energetico che al Senato si è arenata; la lobby del petrolio e del carbone organizzano un ostruzionismo efficace, usano il ricatto della crisi economica per respingere vincoli e nuove regole. Hu Jintao ha promesso di ridurre "l'intensità energetica" del modello di sviluppo cinese, cioè di spezzare l'automatismo perverso tra crescita economica e distruzione di risorse naturali. E' vero che la Cina avanza rapidamente verso il 15% di fonti alternative, ha in campo investimenti colossali nel solare, eolico, nucleare. E ha rincarato la benzina per incentivare gli automobilisti al risparmio. Resta però potente la lobby dell'industria pesante, e il boom di investimenti in infrastrutture deciso da Pechino in funzione anti-recessione segue una vecchia logica di sviluppo non sostenibile.
"La minaccia è urgente - ha detto il presidente americano - , il tempo stringe se non vogliamo lasciare alla generazioni future una catastrofe irreversible". Gli ha fatto eco il leader cinese: "in gioco la sopravvivenza dell'umanità, abbiamo una responsabilità comune". Il tono è cambiato, dai tempi in cui l'Amministrazione Bush negava perfino la realtà del surriscaldamento da CO2, e
Il summit di New York ha dato la misura di un atteggiamento nuovo. Parlano un linguaggio più simile i due giganti che insieme generano il 40% di tutte le emissioni carboniche della terra.
La convergenza tra Obama e Hu sui grandi principi è un progresso importante ma non sufficiente.
Paradossalmente, malgrado la grande distanza tra i due sistemi politici americano e cinese, in questo campo ambedue i presidenti sono più avanti dei rispettivi paesi. Non fu così in passato. Ma oggi nella democrazia Usa come nel regime autoritario di Pechino, è ai vertici di governo che spesso si trovano le posizioni più avanzate. Devono affrontare resistenze tenaci nella società, in particolare nel mondo delle imprese.
A Washington
Le difficoltà di Obama e Hu sono comuni ad altri attori mondiali. L'Europa "virtuosa" si nasconde dietro i ritardi americani, ma il suo esperimento sul "cap-and-trade" (la monetizzazione dei permessi sulle emissioni) ha dato luogo ad abusi, e i risultati sono meno positivi del previsto. Complice la recessione, anche i paesi europei sono riluttanti ad assumere impegni precisi sul calo dell'anidride carbonica entro il 2020. India, Russia, Brasile, da parte loro si fanno scudo della posizione cinese: tocca ai paesi di vecchia industrializzazione muoversi per primi e sopportare l'onere prevalente. Tutti sembrano più disponibili a ragionare sul 2050 che sul medio termine. "E' disonesto - denuncia il ministro dell'Ambiente indiano Jairam Ramesh - perché significa spostare gli obiettivi a una data in cui nessuno di noi sarà qui a rendere conto di quel che ha fatto".
Sarkozy ha raccolto queste preoccupazioni, proponendo un altro summit prima della fine dell'anno, per riunire tutti i "grandi inquinatori", quei paesi che insieme generano l'80% delle emissioni carboniche. Anche sull'ambiente gli europei cominciano a dare segni di insofferenza verso Obama. La tendenza a "demonizzare"
Tuttavia nel duetto Obama-Hu ieri a New York è emerso un vero margine di manovra negoziale.
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